LA VENDITRICE DI ROSE (LA VENDEDORA DE ROSAS) |
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di Victor Gaviria, con Leidy Tabares, Marta Correa, Mileider Gil, Diana Murillo
(Colombia, 1998)
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Immersione totale: in quello che chiamano l'inferno di Medellin. Ma sul filo della "Piccola fiammiferaia" di Andersen. Sulle traccia di un'adolescente, che offre rose agli avventori dei ristoranti. Quando non è completamente fatta, di colla. Come tutti gli altri ragazzi (bambini?) di Medellin. Con un ritmo infernale (d'inquadrature, di stacchi, soprattutto di sfondi, di dialoghi incessanti, di musiche, di suoni), un modo di buttarsi a capofitto nella realtà con tale impeto che uno si dice che non potrà durare più di dieci minuti, il film di Gaviria (scrittore, saggista, già regista nel 90 con RODRIGO D.) invece tiene. E come. Con la forza di un documentario, per la continua presenza degli ambienti veri, ma più vero di un documentario: per l'assenza di qualsiasi giudizio morale. Che l'evidenza delle immagini documentaristiche non può mai impedirsi di assumere. La finzione, dal canto suo, non solo non annacqua la forza del documento: ma permette di temperare, graduare, guidare lo sguardo. L'amalgama di Gaviria è perfetto, la forza del film è straordinaria. Senza dover alzare la voce, sottolineare il melodramma, forzare gli effetti. Il regista non mostra nulla di straordinario: la vita continua, nella sua tremenda normalità. Ed è proprio questa normalità, la continuità, l'ineluttabilità di questa a centuplicare la forza dello sguardo su una condizione che già conoscevamo, come reportage, fotografico, televisivo. Ma che il cinema, quando come qui allea il potere dell'immaginario al realismo della resa fotografica, riesce a ravvivare: soffiando su delle ceneri già ardenti per bruciare per sempre nella nostra memoria.
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Il film in Internet (Google)
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info@films*TOGLIEREQUESTO*elezione.ch
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capolavoro
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